Kiriosomega: “Cossiga e Berlusconi fan rima con….” – Impietosa analisi postuma (su Francesco) e futuribile (su Silvio) – Ovvero: la verità sui potenti si conosce sempre “dopo”…

Lunario Paolo D'Arpini 26 agosto 2010

“Io”  Francesco Cossiga fu narcisista per natura e s’industriava ad auto compiacersi per la sua personalità distorta da “Ego” affetto da mania di grandezza, insomma era la pariglia con il suo per certi versi caratterialmente emulo berlusconi che certo non possiede la verve, l’ironia e la satira dello scomparso.

Cossiga, dunque, anche arconte oligarchico che ben poteva figurare nell’ancienne regime assolutista monarchico, in realtà apparteneva ad epoca posteriore, ma, nonostante tutto, con il suo comportamento mostrava d’essere assertore, per personale diletto, più dello stato liberale liberista che di quello democratico.

Picconò, s’usava dire durante gli anni ‘90, chiunque scoprì come interlocutore capace di gettare ombra sul suo sentirsi ed atteggiarsi nel ruolo di primadonna, e specialmente picconò ogni “novità” politica per timore di perdere i propri privilegi.

Cossiga, infatti, voleva distruggere chi non amava nessuno politicamente, ma circuiva, o tentava di farlo, chiunque potesse essergli utile secondo suo discernimento.

Insomma, era solo uno scaltro personaggio alla Catilina interpretato secondo le catilinarie dell’elitario e conservatore Cicerone, dunque, personaggio che con altri della sua età si dimostrò difensore solo dei propri diritti e di quelli di pochi che considerava appartenenti al suo censo, o, forse, tale fu per loro solo perché aveva da temerne! Ogni riferimento al C.A.F. è espressamente voluto.

Cossiga fu dunque “maestro del torbido”, un individuo che per suo interesse e per primeggiare in artificiosa intelligenza, e se ne vantava apertamente, anche minacciò le dimissioni dai ruoli ricoperti e in una pubblica trasmissione si definì: “Puro prodotto di un’oligarchia al potere”!

Subdole esternazioni, queste, che proprio miravano a mai abbandonare il posto di potere conquistato difendendolo con l’ironia della sua raggiunta potenza politica.

Oggi, nei giorni in cui ha tolto il disturbo per la sua invadenza, gli odierni politicanti a lui assai simili e giunti presso il feretro per sincerarsi della morte di questo sassarese, lo esaltano quasi incuranti di lasciar trasparire dietro “l’occhio canin in porcino ceffo” la baldanza per essersi liberati di un attore scomodo che conosceva molti degli scheletri che gli intervenuti necrofori accuratamente nascondono allo Stato ed all’Elettore.

Se mal non ricordo, Massimo Fini intervistandolo di lui pubblicò notizia che alla domanda: “Perché difende l’indifendibile, -la casta socialista-”, rispose: “Oh bella, perché i socialisti difendono me”.

Insomma, dell’antico do ut des Cossiga aveva una visione egotica da oligarca precettore del nulla, o meglio, aggiungo, del malfare politico.

Novello Omero dal dio invasato, dei suoi nemici decantava epiteti che amava costruire e riferire, così c’erano nel suo privato linguaggio, “il figlio di madre ignota”, “il poveretto”, “ciuffo bianco”, “Quasimodo”, “luna piena”, “scemo e mascalzone” e tutta una tribù indistinta di zombies che s’aggiravano per le Camere.

Non mi permetto di contraddirlo su tali aggettivazioni, anzi condivido in toto l’ultima espressione che testimonia, lui compreso, che essere parlamentare, dal dopoguerra ad oggi, è ruolo che può svolgere anche un morto, tanto, per quello che fanno… meglio sarebbe che non lo facessero! Per terminare il rapido esame della personalità e presunzione di Cossiga ricordiamo che era assai simile a quella dell’odierno piccoletto, benché il secondo sia meno elegante e più brutale.

Possiamo anche paragonare il suo modo d’essere, ma un po’ più smorto, a quello che manifesta dietro la sua maschera l’uomo di Sondrio, o che è propria del lilliput veneziano che tracima senza saper tacere.

Cossiga era infido ma elegante, acuto e ironico secondo convenienza e certamente sovrastava tutti gli ominicchi di serie B che tali sarebbero rimasti se il tornado “mani pulite” non avesse scosso dalle fondamenta tutti i palazzi del potere.

Cossiga anche in tarda età, ormai non più lucido ma sempre ironico e maligno, continuò, ormai senatore a vita, a turbare la politica dei più giovani ytalyoty cui non risparmiò salaci suggerimenti e s’impegnò anche nel volere fondare partitini insignificanti: “L’Udr, l’Upr, l’Associazione XX settembre, il Trifoglio” che avevano bisogno, come le religioni, delle tenebre per miseramente risplendere. In ultimo, siamo perciò autorizzati a ritenere che Cossiga giocò a scacchi con la politica che non fu mai per lui cosa seria dimenticando che con essa amministrava il popolo italiano, e ciò alla stregua del suo degno compare Andreotti che, però, di governare la colonia Italia era ingordo.

2) La cattiveria politica di Cossiga!

Cossiga fu professore associato di Diritto Costituzionale, come altri politicanti del panorama italico, ma della materia e dell’insegnamento conosceva ben poco perché non mostrò mai adeguata preparazione. Infatti, in una comunicazione avvenuta nel 1950 e pubblicata in una rassegna universitaria specialistica diffuse una ricerca che conteneva gravi errori in proposito delle funzioni espletate dai Pubblici Ministeri, e, nel 1969, incredibile factu, per la sua scarsa preparazione il Consiglio di Facoltà dell’Università di Sassari, su forti spinte studentesche, dovette revocargli la cattedra di cui era incaricato dopo che per due volte era stato bocciato agli esami per essere dichiarato ordinario. Per salvarlo dal baratro qualcuno intervenne in favore del politicante già ben omertoso, e gli costruirono intorno, similmente ad una sibillina infima pubblicità, una cattedra di “Diritto costituzionale regionale”!

In altre parole una cattedra del nulla, perché non esiste il diritto costituzionale regionale tra le fonti del Diritto Positivo italiano.

Cossiga politicamente non aveva amici, solo interlocutori che dovevano essere sacrificati sulla propria ara per placare la sua voglia di primeggiare, infatti, si deve ricordare che prima delle elezioni del 1990, contravvenendo ad ogni norma di neutralità imposta dalla carica rivestita, attaccò anche la Lega, e di lì a breve descrisse come “criminali i suoi iscritti”.

Ma il cossighiano tragico comportamento di livore, verso chi nutriva idee a lui non piacenti, si spinse al segno di volere intimidire l’ideologo della Lega, il già anziano Gianfranco Miglio.

Lo stesso Miglio così estesamente descrisse in: “Io, Bossi e la Lega. – Mondadori, 1994, p. 28” il perentorio e terroristico dire della telefonata ricevuta da Cossiga:

“Rovinerò Bossi facendogli trovare la sua automobile imbottita di droga, lo incastrerò! E, per quanto riguarda i cittadini che votano per la Lega li farò pentire! Nelle località che più simpatizzano per il Vostro movimento aumenteremo gli agenti della Guardia di Finanza e della Polizia, anzi li aumenteremo in proporzione al voto registrato. I negozianti e i piccoli e grandi imprenditori che vi aiutano saranno passati al setaccio. Manderemo a controllare i loro registri fiscali e le loro partite Iva. Non li lasceremo in pace un momento. Tutta questa pagliacciata della Lega deve finire!…- Confesso che la sorpresa provocatami da quella sfuriata mi lasciò senza parola, così continuò a scrivere Miglio. -Cossiga era per me un amico, ma era anche il Presidente della Repubblica! Mi avevano riferito, infatti, che piccoli operatori economici in odore di leghismo avevano ricevuto insistenti ispezioni della GdF; e se addirittura il custode della Costituzione era pronto ad avallare atti illeciti a danno di cittadini colpevoli soltanto di avere un’opinione politica diversa da quella dominante, dove andavano a finire le garanzie dello Stato di diritto?”.

Cossiga non querelò mai Miglio per le dichiarazioni riportate nel libro. Dichiarazioni che lo mostravano in atteggiamento di ricatto contravvenendo regole sociali e norme giuridiche che vogliono il Presidente della Repubblica arbitro delle situazioni politiche e non basso detrattore dell’altrui pensiero.

Ma i degenerati partiti della Prima Repubblica avvertivano d’essere giunti al capolinea del loro percorso e, in difesa, si unirono a Cossiga ed ai suoi colpi di maglio volti, in quell’occasione, contro la magistratura e la Lega.

Così alte interessate cariche dello Stato lo glorificarono “Padre della Patria”, e impreparate culturalmente come sempre sono state lo dichiararono “insigne costituzionalista” senza dar conto che, non da solo, fu uomo degno degli oscuri tempi che il CAF fece vivere al Paese.

Kiriosomega

I commenti sono disabilitati.